Simone Paparella. Vi ho parlato lo scorso marzo di quanto accaduto a questo giovane trentenne di Ostia (Roma) il 28 giugno dell’anno scorso quando dopo un malore improvviso e nonostante il veloce intervento del 118 è deceduto per arresto cardiaco. La storia di Simone e della madre Alessandra l’ho raccontata perché quello che si verifica immediatamente dopo il fatto lascia come minimo a bocca aperta. Parte tutto dalla legittima richiesta della Signora Tesei di riavere gli effetti personali del figlio, i quali inspiegabilmente non si trovano. Le viene detto, a seconda dei soggetti a cui si rivolge, dal personale medico a quello paramedico al dottore di turno presso il pronto soccorso dell’Ospedale G. B. Grassi di Ostia dove il ragazzo è stato portato dai soccorsi e in ultimo la direzione sanitaria, che ciò che Simone aveva con se o è andato perso o distrutto o smaltito o ancora consegnato a un ragazzo che si sarebbe presentato a nome del fratello. Assurdo. Dico per chi non lo sapesse che in questi casi ci sono delle rigide procedure da rispettare. Ancora più assurdo mi dice Alessandra il comportamento di tutti questi soggetti, sia nei momenti successivi al trasporto in ospedale (anche nei confronti della ragazza di Simone Rossana, andate a rileggere bene) che dopo, quando ha cercato legittimamente di rivolgersi ai responsabili per quanto successo.
“Ho scritto anche al Commissario Straordinario di Casal Bernocchi Giuseppe Legato, il quale oltre alle scontate parole di cordoglio di rito non ha fatto altro che rimbalzare le responsabilità ovviamente mai riconosciute al personale del 118 e del pronto soccorso. Questi ultimi nelle persone del dottor Fabrizio Marra e la dottoressa Paola Masala hanno confermato quanto detto dai loro colleghi, medesima cosa il caposala sempre del pronto soccorso Milziade Teghini, per non parlare del medico di turno al momento la dottoressa Cristina Valeri, che mi ha trattata in un modo indescrivibile e disumano”.
Insomma uno scaricabarile di responsabilità o peggio una sorta di connivenza, complicità tra colleghi per evitare di rispondere delle responsabilità.
La Signora Tesei dopo quanto raccontato si è ovviamente rivolta al corpo dei carabinieri ed ha sporto una denuncia di quanto successo, alla quale tra l’altro ancora non ha ricevuto risposta e qui rimando ad altre occasioni in cui ho parlato della giustizia italiana e dei suoi tempi.
Ma il lato ancora peggiore, se mai ci possa essere qualcosa di peggio della perdita del figlio, è questo che mi dice Alessandra: “Ho purtroppo parlato più volte con il mio avvocato il quale mi ha confermato che per legge non è possibile procedere contro i soggetti in questione né contro la struttura ospedaliera in quanto il valore degli effetti di mio figlio non raggiungeva la cifra minima prevista”.
L’Ospedale G. B. Grassi
Assurdo anche questo no? Qualcuno commette un errore del genere, ma non è perseguibile legalmente perché è stato previsto un “valore minimo” quantificato in un migliaio di euro al di sotto del quale la legge non può intervenire. Siamo arrivati a dare un valore anche ai sentimenti, al rispetto della vita umana?
Ancora Alessandra: “Io non mi arrenderò, non mi fermerò, non mi darò pace e farò di tutto fino a che le persone che ho nominato, leggete bene i loro nomi, non avranno riconosciuto le loro responsabilità in quello che è successo dopo la morte del mio Simone. E’ per questo che mi rivolgo a chi può far conoscere il più possibile la storia di mio figlio” .Aggiungo dal mio punto di vista che una giustizia da qualche parte si deve trovare sempre, per qualsiasi cosa ci succeda. Rinnovo gli auguri ad Alessandra per questo e prometto, almeno io, di non dimenticare questa triste vicenda.