Sul filone degli articoli dedicati a Free il nuovo film di Fabrizio Maria Cortese ho avuto il piacere di parlare con Babak Karimi il noto attore iraniano che ha vissuto in Italia dal 1971 al 2011 per poi ritrasferirsi nel suo paese d’origine, di cui dopo quaranta anni ha sentito il richiamo.
Da genitori provenienti dal mondo dello spettacolo, ha studiato ripresa in Italia e all’inizio quasi per scherzo mi racconta decise di dedicarsi alla recitazione. Con risultati notevoli: nella sua bella carriera fra le altre cose è stato consulente per la Biennale di Venezia e a coronamento di un grande lavoro ha ricevuto nel 2011 il prestigioso Orso d’argento come miglior attore al Festival internazionale del cinema di Berlino per la sua interpretazione in “Una separazione”, film scritto e diretto da Asghar Farhadi che ricordiamo oltre ad essere il primo film iraniano a vincere l’Orso d’oro ha vinto nel 2012 anche il Golden Globe e l’Oscar come miglior film straniero.
Amico di Antonio Catania ( il quale ricordiamo ha interpretato anche il primo film di Fabrizio Maria Cortese Ho amici in paradiso) con cui ha lavorato nel “La linea verticale”, è rimasto interessato al modo in cui F. M. Cortese tratta argomenti “al margine” come nello specifico la condizione degli anziani e non ha esitato un momento ad accettare un ruolo in Free. Mi dice che in compagnia dei tanti colleghi che lo hanno affiancato nelle riprese si è trovato davvero molto bene, e diversamente non avrebbe potuto essere con nomi tra gli altri del calibro di Sandra Milo, Corinne Clery, Enzo Salvi, Ivano Marescotti, Marco Marzocca, Sergio Friscia (potete vedere alcune foto scattate sul set in Puglia).
Gli chiedo della sue recente esperienza ne “La linea verticale”, produzione di successo anche questa della Rai.
Mi parla di Mattia Torre che è una delle penne migliori che ci sono secondo lui nel cinema italiano e del modo diciamo “grottesco” in cui ha trattato un argomento così importante, e proprio l’affrontare certi temi a viso aperto accomuna secondo Babak questa serie a
Free.
Babak insieme a Enzo Salvi e Fabrizio Maria Cortese
“Il bello di film come Free è che queste situazioni vengono raccontate da dentro non da fuori in maniera asettica, quasi si guardasse un acquario. Spesso certe cose si mostrano di sfuggita ma non si vivono davvero”, questo è secondo Babak il limite del cinema italiano nella fase che vive oggi, anche perché tipico della cultura occidentale è evitare di esporsi in prima persona con alcuni argomenti per paura forse, quando invece una malattia o la condizione delle persone anziane non sono altro che parte della nostra esistenza.
“Non parlare di questi argomenti produce secondo me l’effetto contrario: si deve dire e far vedere altrimenti non si fa altro che alimentare un fantasma che al contrario non esiste e crea solo danni. Diceva Cesare Zavattini che se si vuole avere degli spunti trovare un tema che riguardi la società basta seguire una persona per una giornata su di un autobus e tutte le problematiche sociali, economiche, politiche saranno lì. Il cinema è cambiato nel momento in cui i cineasti sono scesi dall’autobus: quando abiti in un attico difficilmente vedi la gente sul marciapiede. Insomma non si deve nascondere la polvere sotto al tappeto ma mostrare la realtà così com’è”.
Mi ricorda ancora Babak che così è stato fino al periodo del Neorealismo, e non devo ricordare qui tutti i maestri i capolavori prodotti e quanto lustro hanno dato alla storia del cinema italiano e poi con la commedia all’italiana, altra perla di genialità inventata da noi. Poi il distacco dalla quotidianità e dalla gente è stato progressivo, se pur con alcune eccezioni.
“L’illusione che tutto va bene è appunto un’illusione e non va affatto bene. Diceva l’indimenticabile Ermanno Olmi che le prime generazioni di cineasti osservarono la vita e fecero film, da un certo punto in poi non hanno più osservato la vita ma hanno visto film
e hanno fatto film“.
Un momento delle riprese all’Opera Don Guanella di Roma.
Altra considerazione importantissima: “Per un lungo periodo il cinema ha raccontato la vita, poi come un fiume che inverte il suo corso è diventato una fabbrica di modelli per costruire la realtà, come i supereroi o i modelli estetici esagerati, finti. Come assurda conseguenza abbiamo la realtà che inizia a somigliare al cinema, insomma modelli sbagliati da non imitare”.
Film come Free, ed anche Ho amici in paradiso, possono e devono fare da guida verso certi argomenti che dovrebbero essere di nuovo trattati dai cineasti di casa nostra.
Progetti e proposte di lavoro come sempre ce ne sono dice Babak, ora è rientrato in Iran per completare una serial per la tv.
La situazione sociale dell’Iran mi dice essere cambiata davvero molto rispetto a venti anni fa e la paragona agli anni sessanta-settanta che abbiamo vissuto noi, con un grandissimo fermento anche nel mondo della cinematografia e questo è molto positivo a mio parere perché le risorse e opportunità non devono mai scarseggiare in un settore fondamentale per veicolare culture e tradizioni in ogni parte del mondo.
Sono sinceramente orgoglioso di aver conosciuto Babak Karimi, ringraziandolo per la bellissima e istruttiva conversazione auguro a lui buon lavoro e auguro a noi di vederlo in un nuovo film, anche in Italia magari.