Ecco ci siamo, il capolinea è arrivato. Arriva sempre ma questo è diverso, è il capolinea di una delle carriere sportive più grandi, più volute, più sofferte, più osannate, più invidiate, più criticate, più belle, più dense di avvenimenti, di sogni, di desideri, di possibilità, di vita insomma che ci siano mai state nella storia del calcio.
“Io ce so’ nato a Roma” recita un passaggio della celebre Roma Capoccia di A. Venditti, io Francesco, spero mi scuserai se ti do del tu ma qualcosa mi impedisce di fare diversamente, sono nato a Roma una decina d’anni prima di te. Lo dico perché è stata per me un’autentica fortuna in quanto ho avuto tutta la maturità necessaria per osservare da lontano, da tifoso, un ragazzino biondo che cresceva e imparava a diventare un gigante in quel gioco del calcio che come normale mi ha sempre affascinato ma che non ho potuto praticare, meno che meno poi ai tuoi livelli.
Ero ancora un ragazzino e mio padre, come sicuramente è stato per te e centinaia di migliaia di ragazzini in tutto il mondo, mi portava a vedere la sua squadra del cuore (una volta si diceva così) allo stadio. Una sola partita invero ricordo di quegli anni settanta, un Roma-Catanzaro persa 1 a 3 e l’unica cosa che riesco a distinguere bene è il vecchio maxischermo dell’Olimpico, una foto stampata nella memoria: Roma 1 Catanzaro 3, Palanca, Palanca, Palanca. Eppure io solo romanista avrei potuto essere, tu lo sai perché, lo senti scorrere nel sangue, ce l’hai nel dna, sottopelle, tu lo sai quello che si sente “dentro” quando qualcuno pronuncia il suo nome: Roma.
Roma, una delle città antiche più conosciute della storia dell’uomo è la città dove siamo nati, probabilmente dove io vorrei rimanere per sempre, nonostante tutto e tutti. Sulle sponde del Tevere da quando un certo Romolo dice la leggenda decise di costruire più di 2700 anni fa qualcosa che non aveva idea di che sarebbe diventato, sono successe tante di quelle cose che enciclopedie e libri di storia stentano a contenerle, ma chissà perché quando senti il suo nome immediatamente pensi a quei colori apparentemente in contrasto tra loro che invece ti accendono il cuore, ti animano una giornata o una serata, ti fanno cambiare umore, ti fanno gioire, arrabbiare, agitare, urlare, a volte ridere e altre piangere, litigare, insomma essere fiero di lei e di esserne tifoso.
Francesco Totti, il capitano più longevo della storia che la squadra col simbolo della lupa abbia mai avuto, forse il destino in questo ti ha voluto premiare come se solo un tifoso autentico e genuino potesse meritarsi questo onore, si in quanto sono sicuro che tu lo abbia sempre considerato un onore. Sono sicuro però allo stesso modo che è stato anche un fardello pesante da portare addosso ogni volta che sei sceso in campo contro le squadre cosiddette inferiori o quelle più blasonate o ancora nei derby, intendo il fardello del fuoriclasse immenso da cui ci si aspetta di tutto ma anche il fardello di volerlo fare questo di tutto anche da tifoso fin dentro le ossa, per questo sono sicuro che fare il calciatore per te non sia mai stato un mestiere e basta.
Hai attraversato una generazione intera venticinque anni giocando con quella sfera magica, magica lo diventava veramente solo nel momento in cui la toccavi dopo che ti era stata passata da un compagno, attraverso vittorie fantastiche e sconfitte altrettanto scottanti senza mai pensare di non rientrare in campo la partita successiva e non dare il solito cento per cento, già perché il calciatore comune spesso non riesce a mantenere lo stesso livello agonistico a lungo ma la differenza è tutta lì: tu non sei mai stato un calciatore come gli altri, la tua forza è sempre venuta dal cuore il tuo agonismo te lo ha sempre dato il tifoso dentro te, lo stesso tifoso che anche quando sa che la sua squadra ha ormai perso rimane a vedere la partita finché un signore vestito scuro non dice che è finita.
Sei simpatico a tanti ma probabilmente antipatico a tanti di più, questo è il destino di quasi tutti i personaggi famosi e figuriamoci poi quelli che giocano al calcio e questo la sai da sempre o perlomeno l’hai capito nel momento in cui il mondo ha iniziato a vedere che le traiettorie dei palloni giocati da te erano diverse da quelle degli altri, avrai fatto molti errori come tutti ma con la differenza che i tuoi erano ripresi nella maggior parte dei casi da fredde telecamere o moviole della domenica sera….
A proposito di telecamere anche con quelle ti è piaciuto giocare, ricordi quando sei salito al posto del cameraman dopo il pareggio al derby o ancora il selfie dopo il pareggio sempre al derby del gennaio 2015? La telecamera invece che non avrei mai voluto ti riprendesse è quella che fece vedere l’infortunio del 2006, ma come tutto il resto te lo sei lasciato scivolare addosso e qualche mese dopo hai fatto un bel viaggio in Germania coi compagni della Nazionale e così come niente fosse sei tornato in Italia Campione del mondo. Facile no?
Per niente facile direi specialmente quando hai gli occhi di tutti addosso amici e nemici, in senso sportivo ovvio, ma anche questo fa parte del gioco il grande gioco del calcio e a proposito vorrei dire una cosa: per anni si è parlato del tuo straordinario attaccamento alla maglia, roba d’altri tempi, glielo puoi dire alla gente finalmente adesso che il tuo non è stato un attaccamento alla maglia come quello che altri campioni prima di te hanno dimostrato ma una cosa molto più grande: l’unica maglia che Francesco Totti avrebbe mai potuto indossare era quella giallorossa, perché quando hai “er core grosso, mezzo giallo e mezzo rosso” è così e basta.
Per questa maglia Francesco hai “sopportato” allenatori e dirigenti di ogni tipo che hanno preteso chissà quali cose da te, non faccio polemiche sia chiaro né critico persone che non conosco, e hai anche ad un certo punto pensato di lasciarci per andare chissà dove a far vedere le tue qualità straordinarie. In altre squadre europee il tuo “cucchiaio” o i tuoi “tacchi” o ancora i passaggi al volo di oltre trenta metri, le verticalizzazioni improvvise e il senso della posizione sarebbero stati premiati, non solo in termini economici, probabilmente più che qui ma penso che alla fine tu non sia andato via perché poi a batterti le mani e ad urlare il tuo nome non saremmo stati noi poveri tifosi romanisti ma degli sconosciuti.
Non potrò, non potremo, mai dimenticare quel tuo personalissimo e fammelo dire dolcissimo modo di esultare col pollice in bocca, come fanno i bambini piccolissimi nella culla o il lettino, perché la tua culla France’ è stata questa città unica e piena di capolavori, capolavori a cui negli ultimi venticinque anni come dice il comune amico Enzo Salvi se ne è aggiunto un altro: Francesco Totti, il Capitano.
Quella sensazione che mi sale quando ti vedo entrare in campo dalla prossima settimana non la proverò più, ho capito però perché tu l’hai resa così forte: in campo non scende solamente il più grande campione che la Roma abbia mai avuto, il capitano da vent’anni, uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi a detta dei tanti tuoi colleghi che ti hanno affrontato, scende anche il tifoso che è dentro me dalla prima volta che i colori di questa grande squadra mi hanno fatto piangere di gioia, come se ogni tifoso della Roma potesse giocare insieme a te.
E quando domenica sera sentirai l’arbitro fischiare tre volte, tranquillo Francesco: quella non sarà la fine di una carriera ma l’inizio di una leggenda.
Grazie Capitano.