Questo di cui vi parlo è un altro genere di episodio, di quelli che si verificano un po’ per la sorte più spesso per incuria delle persone coinvolte e, ci auguriamo meno spesso, a causa della scarsa professionalità se non incompetenza dei soggetti coinvolti.
Lo scorso 28 giugno 2016 Simone Paparella, un ragazzo di trentuno anni residente ad Ostia(Rm) insieme alla mamma Alessandra Tesei, durante una passeggiata nel tardo pomeriggio in compagnia della ragazza Rossana viene colto da malore, immediatamente interviene un’infermiera che si trova casualmente nei paraggi la quale presta un massaggio cardiaco in attesa del 118.
Nonostante Simone fosse uno sportivo praticante e non gli sia stato mai riscontrato alcun problema, l’improvviso arresto cardiaco non gli da possibilità alcuna e sembra che quando arrivato all’Ospedale G.B. Grassi di Ostia non si sia potuto fare altro che riscontrarne il decesso.
Il caso dicevo: perché la signora Alessandra due anni prima era stata colpita da emorragia cerebrale con un conseguente mese di coma, aveva superato bene l’episodio e come spesso succede casi di questo genere non possono fare altro, se possibile, che rinforzare il rapporto
tra madre e figlio. Immaginerete nel momento che la fidanzata di Simone avvisa telefonicamente Alessandra che genere di reazione questa abbia potuto avere; precipitatasi nell’ospedale l’unica cosa che può è raccogliere la dichiarazione di decesso da parte dei
medici del pronto soccorso, oltretutto comunicatole ci dice la signora con una insensibilità totale.
Rossana, la fidanzata, è distrutta e oltretutto sembra sia stata trattata molto male dal personale che non le ha permesso non solo di chiedere informazioni mentre Simone era all’interno, ma addirittura l’ha costretta ad aspettare non in sala d’attesa ma in un’altra stanza, e la signora Alessandra distrutta anche lei che peggio non potrebbe.
Passiamo adesso all’incuria o scarsa professionalità, sto usando un eufemismo, degli operatori del Pronto Soccorso in servizio il 28 giugno 2016. Al momento di richiedere gli effetti personali del figlio alla mamma viene risposto che non ci sono e, dopo la
dichiarazione da parte dell’Ares che in ambulanza non si era proceduto allo spoglio del paziente, che sembra siano stati consegnati ad una persona presentatasi come il fratello di Simone ma la cosa è molto poco chiara perché in seguito le viene detto che comunque
erano stati tagliati per intervenire sul ragazzo, ma anche qui qualcosa non torna perché non si trovano neanche le scarpe e soprattutto la catenina d’acciaio che Simone portava ventiquattr’ore su ventiquattro al collo e alla quale era legatissimo. Dello sciagurato pasticcio e forse per coprire l’errore di qualcuno è riprova il fatto che il Direttore Sanitario e il caposala hanno mandato
alla signora Tesei una lettera in cui le viene comunicato che gli effetti personali di Simone erano stati smaltiti tra i rifiuti,
procedura sbagliata in quanto avrebbero dovuto essere messi al deposito.
Dice Alessandra: “Non è certo per lo scarso valore commerciale della catenina ma quello affettivo che rappresentava per me e mio figlio che la rivoglio e poi è assurdo che dipendenti addetti al pronto soccorso non svolgano il loro compito seguendo le procedure emanate dal Ministero della Salute”, che Alessandra conosce benissimo in quanto dipendente da molti anni dell‘Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma (IFO).
Dopo vari tentativi a vuoto con l’ufficio relazioni pubbliche del Grassi e un esposto nei confronti della Dottoressa Cristina Valeri di turno al pronto soccorso quel giorno, ha potuto solo procedere con una denuncia formale ai Carabinieri che avrà sicuramente il suo corso dati i presupposti ma con i tempi che sappiamo della giustizia italiana.
Non è il classico caso di malasanità di cui si parla troppo spesso in questi ultimi anni ma di qualcosa da un altro punto di vista altrettanto brutto: qui è evidente una sorta di superficialità o se vogliamo di menefreghismo nel trattare una situazione tanto grave come il decesso di un giovane uomo, in cui invece non sarebbe richiesta eccessiva un minimo di umanità da parte di chi sappiamo trovarsi tutti i giorni per lavoro in situazioni simili.
Faccio gli auguri alla signora Tesei che abbia almeno dalle autorità preposte quella considerazione e soddisfazione che avrebbe meritato da chi invece non lo ha fatto per niente, promettendo di seguire fino in fondo gli sviluppi.